Orfeo in fonte santa recensione di Franca Alaimo

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Una scrittura fluida e felice caratterizza il poemetto polimetro in versi liberi di Roberto Mosi, Orfeo in Fonte Santa, sia che il poeta tocchi accenti di squisita liricità, sia che introduca nei versi elementi narrativi. Gli uni e gli altri, infatti, perfettamente agglutinati, tessono una intelaiatura classicamente atteggiata, nonostante la modernità della concezione che la sorregge e della lingua di tono medio-alto, limpidamente comunicativa.

La Fonte Santa (che si trova, come si legge nell'introduzione, in un angolo felice delle colline che circondano la città di Firenze) costituisce il centro ispirativo attorno al quale si dipana la materia del canto; lemma, quest'ultimo, ricorrente e usato alla maniera dei grandi autori epici della classicità, e legato ad un altro che etimologicamente lo contiene, incanto, a significare che la poesia possiede una forza magica che vince lo scorrere del tempo, creando una dimensione parallela in cui ogni cosa non solo salva se stessa, ma si riappropria dell'integrità ontologica scoprendo i legami tra alto e basso, visibile e invisibile.

Personaggi storici ed angeli vengono affiancati, così come eventi sanguinosi e visioni mentali, concretezza di cose e leggerezze estatiche, nella convinzione che la Poesia coincida con il Tutto, se il Tutto diviene spazio interiore.

Dunque il mito, così abbondantemente presente nel poemetto di Mosi, e la narrazione di episodi legati e alla letteratura del Seicento e alla seconda guerra mondiale e alla lotta dei partigiani (Orfeo in Fonte Santa è dedicato, infatti a uno di loro, David Daviddi), e ad episodi di cronaca attuale, coesistono con la stessa forza, e si confrontano con i temi essenziali: la vita, la morte,il tempo, l'eternità, la bellezza, il bene, la crudeltà, la gioia, il dolore.

Lo stesso mito di Orfeo è corredato di tutti questi elementi: Orfeo che incanta con la sua voce le creature viventi, Orfeo sconvolto dalla morte di Euridice, Orfeo che scende negli Inferi, Orfeo dilaniato dalle Baccanti, Orfeo, la cui testa insieme alla sua lira approdano sull'isola di Lesbo.

I riferimenti letterari sono molti, ma certamente, (il poeta stesso lo cita in apertura del libro) il più importante è Rainer Maria Rilke con i suoi Sonetten an Orpheus, del quale egli fa propria l'intuizione di una Weltinnenraum, quale espressione di una realtà unica in cui non ci sono un dentro e un fuori, un prima e un dopo, ma un tutto senza limiti, come si è già detto. Con Rilke l'autore condivide anche ( ne è testimonianza il canto III, pag. 21) la coincidenza tra il divenire di Eraclito e l'essere di Parmenide. Riprendendo, infatti, i versi rilkiani; E se il mondo di oblio ti ha ricoperto,/ alla terra immobile puoi dire: io scorro./ E all'acqua rapida ribattere: io sono”, Mosi così riscrive: L'assenza si capovolge/ in presenza, attività e passività/ si integrano, figure immobili/ sono superate da immagini/ in movimento. “Alla terra/ immobile” dico: io scorro”,/ all'acqua rapida: io sono”.

Ѐ un atteggiamento assai importante questo recupero della tradizione operato da Mosi, in tempi nei quali i poeti sembrano attingere la propria ispirazione da altre fonti, trascurando la lezione dei grandi. Così come interessante è il ricorso ad una lingua tanto limpida e sonora, sebbene i versi non siano rimati.

Fra tutti i sensi, è, infatti, quello dell'udito ad essere privilegiato: è una vera e propria partitura musicale il secondo canto: voce umana, suono di acque, respiro del vento, vibrare delle foglie, flauto d'oro entrano nell'orecchio, lo stordiscono, lo inebriano.

E accanto all'udito s'affianca, non meno importante, quello della vista: i versi disegnano un'abbondanza di immagini forti, delicate, aeree, sanguigne; né si può trascurare la presenza delle immagini fotografiche a colori inserite tra un capitolo e l'altro del poema: poesie anch'esse fatte della materia della luce.

Del resto è proprio la luce (ovvero la speranza, la gioia) a trionfare; così, infatti termina il poema di Mosi: “Riprende il cammino/ dopo che la neve si è sciolta./ La natura respira, rinasce”.

Franca Alaimo