Simone Cattaneo su Yawp

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Giorgio Anelli ha da poco pubblicato il saggio Simone Cattaneo. Di culto et orfico (Ladolfi, 2019): in questo testo si parla di Simone Cattaneo, poeta visionario, poeta del cielo, poeta suicida. Tra i suoi lavori, solo per citarne alcuni, ricordiamo: la raccolta poetica L’umana ferocia (Kolibris, 2017, di cui ci siamo occupati qui) e il romanzo Lettere da Novresch (Ladolfi, 2018). Andrea Temporelli che ha prefato L’umana ferocia, vede il passaggio di testimone tra lui e Cattaneo. Il nostro Paolo Pitorri ha scambiato quattro chiacchere con Anelli, ci ha detto che è stato emozionante, sentiva il peso poetico di Anelli da chilometri di distanza. Capite bene che non voleva solo parlare del saggio, ma volevo proprio passare del tempo, come si fa con gli amici.

 

YAWP: “Come hai conosciuto Cattaneo, so che di persona non lo hai mai incontrato, quindi puoi dirmi com’è nato questo amore per questo scrittore, poeta?”

GIORGIO ANELLI: “Simone Cattaneo in vita non l’ho mai conosciuto. Lui è salito in cielo quando ormai io non lo avevo ancora letto, l’ho conosciuto grazie alla testimonianza di un amico, un caro grande amico: Andrea Temporelli, che qualche anno fa al festival di Ladolfi a Borgo Manero ha tenuto una lezione su Cattaneo, e proprio lì ascoltavo per la prima volta parlare di questo poeta. La cosa affascinante e oltre a conoscere la sua vita, è stato anche il fatto che Andrea abbia letto un’unica poesia che poi mi ha instillato e che mi ha fatto crescere la curiosità. Poi da lì ho chiesto a Ladolfi e a Temporelli dove poter trovare i libri di Cattaneo, e nell’arco di pochi anni sono riuscito a leggerli. La scoperta mi ha affascinato come la poesia di Simone Cattaneo."

 

Y: “A questo punto mi verrebbe da chiedere cosa ti avvicina a Cattaneo? Credo sia come un fratello per te, quindi mi piacerebbe sapere come reputi la personalità e la persona di Simone.”

GA: “Sì, hai detto bene, non ci ho mai pensato perché non avendolo conosciuto di persona non l’ho mai pensato come un fratello, in realtà tu adesso mi ha fatto prendere coscienza di questo ed è proprio così.”

Y: “Ti potrei dire che ci sono degli autori che non ho mai conosciuto in vita, ma che sento affini, non dico alla mia scrittura ma proprio a livello empatico. Si ricorda la morte di Pavese in questi giorni. Pavese è per me un autore-amico, quasi un fratello. Probabilmente tu, che eri coetaneo e contemporaneo a Cattaneo, puoi sentire in lui qualcosa di più forte…”

GA: “Ecco, bisogna sottolineare una piccola differenza, probabilmente a volte i poeti che leggiamo gli scrittori postumi alla nostra vita attuale li possiamo vedere come maestri, e addirittura come morti che in realtà sono vivi, che ci fanno compagnia nella nostra solitudine del leggere e dello scrivere. Però sì, posso dire a questo punto che Cattaneo è un fratello, perché praticamente è stato l’unico che a mio dire ha inventato un genere letterario, poetico e nuovo in Italia.”

Y: “Sai qualcuno dice ”Se Cattaneo fosse nato in America sicuramente la sua poesia avrebbe avuto un successo maggiore di quello che ha avuto in Italia” e si citava Bukowski. Dopo questo articolo ho letto Simone con occhi diversi. Si può paragonare Cattaneo alla poesia americana di quel determinato periodo?”

GA: “Sicuramente no, c’è molta convergenza. Nel senso che se Simone Cattaneo fosse nato e vissuto in America avrebbe avuto il successo che si meritava. Stando qui da noi, in Italia, ha dovuto subire e pagare lo scotto di quello che scriveva. Simone in realtà era uno che credeva al valore sacro della parola e della poesia, dello scrivere e del leggere. Non era un poeta della domenica o poeta da circolo. Era uno che ne sapeva, che leggeva, che studiava. Leggeva tipo Saul Bellow, quindi non solo poesia. Aveva amici di lettere, per citarne due, Andrea Temporelli e Davide Brullo. Era dentro la rivista Atelier, diretta da Ladolfi e Temporelli, proprio quando era nata. Sicuramente, ripeto, era un improvvisatore.”

Y: “Ti fermo, per improvvisatore cosa intendi, una poesia non pensata?”

GA: “Esatto. Non era una poesia pensata, anzi il contrario, voglio dire non doveva fare scalpore e quindi non doveva inserire determinate parole. Tiziano Scarpa ha definito sul Corriere della Sera le sue parole “pugni nello stomaco”. È che Simone aveva bisogno, sentendo viva la poesia in sé, di scrivere quelle parole. Forse per l’unica sua ancora di salvezza, aveva il bisogno insopprimibile di dire la verità, troppa, tanta verità, forse in questo mi paragonano a lui. Lui ha pagato questo scotto perché ascoltare in pubblico poesia di quel carico, di quella caratura, così aggressive e violente, io aggiungo anche visionarie, facevano storcere il naso a molti, anche agli editori. Lui è rimasto isolato, in pochi hanno creduto in lui, in tanti hanno isolato quello che poteva essere un crescendo di un genio.”

Y: “Come identifichi la poesia di Cattaneo? Cosa intendi per orfico, mi torna in mente Campana, che tipo di chiaroveggenza vedi in Cattaneo?”

GA: “Cattaneo intanto nasce e rimane unico. C’è un’assonanza a livello di orfismo nel senso di fatidico e di chiaroveggenza. Lui parlava dei disperati, dei bastardi, delle puttane, degli spacciatori e dei giocatori di dadi. Se c’è un’assonanza è che Cattaneo non è solo colui che ha parole ferine, che ustionano, che fanno male, che graffiano. Mi verrebbe da dire “parole bastarde” se me lo concedi…”

Y: “Ti fermo per dirti che ho visto molto la chiaroveggenza in La pioggia regge la danza e secondo me li c’era un alto tasso di orfismo e profezia.”

GA: “Allora, sì, anche in Nome e soprannome è molto evidente il suo orfismo, in Made in Italy e in Peace & love, scompare. Ho intuito il disvelarsi e il rivelarsi, ovvero mostrarsi in tutto quello che viveva, la sua realtà dalla quale non scappava, magari realtà odiata, che però voleva affrontare. Il suo nascondersi in questo era il suo unico appiglio, per il resto c’era la poesia. Lui alla fine voleva parlare di un altro perché stava già altrove. Lui era già oltre.”

Y: “Scusa se vado direttamente al punto, credi sia per questo anche il suo modo di aver abbandonato il mondo, insomma aver scelto la via del suicidio e pensare a un’altra persona che non era lui?”

GA: “Credo questo sia un argomento molto delicato, io ho creato e scritto un paragrafo all’interno del mio saggio, che ho intitolato I cieli di Cattaneo, perché lui abusa del termine cielo. Il fatto che io non ho trovato leggendo tutte le sue poesie un innesto tra il cielo e la terra, come accennavo prima, Simone deve aver vissuto una realtà molto dura, se vuoi a volte anche facile, ma che in realtà cosa facile non era, vuoi un po’ per scelta e un po’ per colpa, perché? Perché ha dovuto scontare la pena di quello che lui raccontava, e in tutto questo lui parla di cieli. Cieli che sono come un discendere, sono una catabasi che poi in realtà portavano a una risalita, a una anabasi. Una risalita dalle periferie, dai cieli di Milano, da questi grattacieli nei quali il cielo è visto come “pieno di larve che muoiono”. In questo, ed è una mia libera interpretazione, non so se vera, vedo come una forma di riscatto, di una domanda di essere salvato in tutta quella che era la sua miseria, umiltà e umiliazione. Ha voluto vivere fino in fondo un personaggio che però non doveva rappresentarlo completamente. Lui non era solo, sono stati gli altri che lo hanno lasciato solo.”

Y: “Ti spiego, il suicidio mi ha sempre affascinato, di Cattaneo mi ha conquistato il saluto, l’atto estremo. Poi sono arrivate le sue poesie. Leggendo il tuo saggio e leggendo le sue poesie, ho cercato nei suoi versi delle parole che mi aspettavo di trovare, insomma, cercavo l’urlo di Cattaneo, l’urlo dell’inadeguatezza verso la propria vita. Giorgio, io non sono nessuno, non so come una persona sceglie di farla finita, anzi forse un po’ sì. Sai, nelle sue poesie non usa mai la parola morte, non accenna mai al suicidio. Questa cosa mi ha fatto rabbrividire, ha sempre invece parlato degli ultimi. Mi domando, ha mai parlato di sé? Leggendo questi versi ho pensato a un aprirsi al cielo, al paradiso, come dicevi tu “un disvelarsi” verso l’infinito che poi è la morte…

«Ti togli la camicia / così come il cielo / si libera della pioggia, /e in quel piegarsi concentrico/di tessuti un suono nasce / e rapisce le nuvole cariate dal sole/che trascinano gli astri, / nell’abbagliato oceano / delle tue scapole / fiorite di tagli.»”

GA: “Certo, un po’ come anche quando dice il cielo sembra un enorme defibrillatore. Il poeta nel suo caso, come nel mio, ma come in quello di tanti altri, se crede veramente in quello che è, si presenta davanti al mondo nudo. Ha bisogno di essere circondato, di essere assimilato, senza vergogna. Ma nudo nel vero senso del termine, quasi di essere spiato nella sua nudità senza provare nessuna vergogna. Di sicuro questo posso affermarlo: Cattaneo soffriva dentro di sé quel qualcosa che probabilmente avrà confidato a quei pochi intimi e amici di amore, poeti come lui. Non poeti del blablabla, della marchetta, della chiacchiera, ma poeti che come lui vivevano seriamente il leggere e lo scrivere. Detto questo, lui vedeva sicuramente nel suo urlo silenzioso. Questo suo urlo silenzioso lo vedo nell’essere visionario, dicevo prima, si disvela e si rivela.”

Y: “Aspetta, puoi dirmi e spiegarmi la visionarietà in Cattaneo?”

GA: “Sì. Nel varcare il limite, lui usa delle parole che parlano. Questo non è semplice. Lui aveva già intuito che il mondo stava cambiando. Era un mondo che a lui non piaceva, anche il cielo per lui era una ossessione, e l’altro di cui io parlo spesso, questa parola che io utilizzo, in lui non va deformato. Lui lo affronta, e visionario perché? Ti posso leggere di quando parla di queste posate che si muovono nei campi di Solaro. Questo è un modo quasi banale per spiegarlo, o come quando scrive: ho imparato il termine infame, e il valore del digiuno, ho tramutato il sudore in fiore, il fumo in benzina, ho scavato la mia carne come fosse una vela, capisci? e ho gettato sabbia sopra il pianto, ho creduto nella pena, nel silenzio nella domanda liscia della fame, a prima lettura si coglie solamente la violenza in Cattaneo, se ci fai caso, poi penso questo dipenda dalla sensibilità delle persone, ci sono vari richiami non solo a metafore… “

Y: “Sì, infatti ti volevo dire proprio questo, avevo paura a utilizzare la parola “metafora”. Ma Simone utilizza metafore che non sono comuni…”

GA: “Ma infatti! Metafore che non sono comuni, cosa c’entra con il resto del testo, questo voglio dirti! O è impazzito, o vuole imitare Rimbaud e scrive cose così… senza senso per emulare, ma lui lo fa a ragion veduta e credo che lo faccia anche bene.”

Y: “Ti voglio fare una domanda un po’ bizzarra, giusto perché abbiamo citato Rimbaud. Sai, parlando con i miei amici poeti di YAWP, è uscito questo discorso su Rimbaud, io ho detto che quando lo leggo mi fa sorridere. I miei amici mi hanno detto ”ma come ti fa sorridere? Al massimo ti illumina” Bene, Rimbaud a me dona il sorriso e leggerezza. Cattaneo, quando scrive cose crude, oscure, quando scrive di cieli grigi, di asfalto, di cemento a volte sembra così tanto assurdo che mi fa sorridere, non so come spiegarti è come se la troppa verità… Cavolo come spiegartelo… Per esempio anche Cioran mi fa questo effetto, quando la loro verità sembra palpabile il vero diventa più vero e c’è solo spazio per la comprensione che si trasforma in sorriso…”

GA: “Allora, intanto stiamo parlando di due poeti differenti, però entrambi hanno osato come non hanno mai osato prima. Come vedo Rimbaud? Per me è un caposaldo, in quanto per molti viene identificato come uno dei poeti maledetti, in realtà per me è il contrario! Io ho messo in epigrafe all’inizio del libro “Baudelaire è il primo veggente, il re dei poeti, un vero dio” e ho voluto chiosare “Cattaneo è il nuovo veggente” non a caso. Non a caso dicevo prima, Rimbaud era un maledetto per come ha vissuto, idem Cattaneo. Rimbaud in realtà diceva il contrario in quello che scriveva. Siamo sicuri che chi legge Rimbaud o legge Baudelaire capisca realmente quello che c’è scritto? In realtà io vedo in Rimbaud nella sua opera una redenzione, molto più evidente che in Cattaneo. In Cattaneo, tu stesso dicevi di questi cieli che sono grigi, parlavi di cemento e così via, ed è così. In Rimbaud questo è più evidente, se leggi una stagione all’inferno, se riesci a leggerla dall’inizio alla fine, non te lo dico in senso provocatorio, ma in senso realistico, cazzo lo capisci che c’è qualcosa che ti porta al positivo. Positivo è un parolone per Rimbaud, ma mi viene naturale da dire.”

Y: “Leggendo Baudelaire c’è una oscurità di fondo, ma c’è anche un positivo, una luce…”

GA: “Sì, è vero c’è e come, in maniera diversa Baudelaire era un flâneur, Rimbaud era un flâneur al contrario, era uno che doveva fare e disfare, dopo che aveva scritto lasciava i suoi scritti in tipografia e se ne andava, a lui interessava altro.”

Y: “Sì, aveva una vita da vivere.”

GA: “Sì.”

Y: “Mi chiedo, Cattaneo sembrava affogato nella sua poesia, aveva pubblicato, era presente in alcune antologie. Se gli si fosse data la possibilità di crescere cosa avrebbe dato?”

GA: “Sicuramente, avrebbe dato tantissimo a mio parere, se solo gli si fosse dato un credo.”

Y: “In quegli anni, quegli anni in cui tu magari eri già presente in una certa scena poetica, che tipo poesia veniva accettata in Italia?”

GA: “Cattaneo era un mio coetaneo, erano gli anni della fine del boom, un’Italia ormai opulenta che viveva di eccessi di ogni tipo, fino ad arrivare a tangentopoli e tutto il resto. Te lo dico giusto per contestualizzare un attimo, e si arriva fino a questa crisi che ci trasciniamo dietro ininterrottamente. Credo che lui abbia sentito il peso, e lo scrivo anche nel libro, di gente, di intellettuali, di chi stava al potere, di quelli che volevano cambiare il nome alle parole. Quando lui ha capito che la realtà era unica, ed è tutt’ora così, e se va chiamata per nome, va chiamata proprio con il suo nome. Ti faccio un esempio banale, io quando facevo l’università studiavo Scienze dell’educazione, prima ancora si chiamava pedagogia. Perché cambiare nome? Se una cosa è quella è quella! No? Lui vedeva, era una persona lungimirante.”

Y: “Made in Italy era un nome molto provocatorio…”

GA: “Sì, questa era l’Italia di oggi, ci sono feste, cocaina, l’Italia nascosta, quelli che giocano a dadi dietro la stazione, quello che si prostituisce… e lui ti dice: io te lo racconto…”

Y: “Diciamo che negli ’80 c’era l’eroina, l’aids…”

GA: “Sì, c’era di tutto e di più e lui ha attraversato questa epoca e se l’è portata addosso con tutti gli annessi e connessi. Era un uomo che praticava anche le risse da strada e da bar. Ho sentito una storia di una persona vicino a lui, e se c’era da menar le mani prendeva uno e lo tirava fuori dalla porta.”

Y: “Ne L’opera comune, antologia dei poeti nati degli anni settanta, a cura di Ladolfi, Edizioni Atelier, si cita anche l’insegnamento di Anne Sexston. Il mio cervello leggendo il nome della Sexston ha fatto subito un collegamento, ovvero quello della poesia confessionale. Si può definire la poesia di Cattaneo non solo orfica, illuminata, visionaria, ma anche confessionale?”

GA: “Indirettamente sì, ti dicevo prima che aveva trovato un lascia passare della vita che viveva, ed era la scoperta di saper scrivere poesia. Quindi in questo senso, era il suo modo per poter ritagliarsi uno spazio, per poter respirare e uscire dalla claustrofobia di un mondo che molto probabilmente sempre più passava il tempo e più lo stringeva come una morsa. Confessionale, forse nel senso di dire, io sono un poeta quindi certe cose le vivo più degli altri e poi le scrivo e le racconto agli altri, come dire, le ho già fatte io, è inutile che provi a farlo anche tu perché potrebbero farti male, potrebbero tagliarti, infettarti.”

Y: “Volevo tornare ai cieli, tu dici “cieli privi di speranza”, c’è veramente poca speranza nei cieli di Cattaneo?”

GA: “…allora, in questo brevissimo paragrafo io ho voluto rischiare me stesso, nel senso che ho notato questo ripetersi ossessivo della parola cielo in tantissime sue poesie e non ho mai visto nulla di positivo. Anche se quando lui parla della periferia milanese…non c’è un innesco tra cielo e terra, se trova un appiglio nella poesia non lo trova però nel cielo, cioè ne parla ma non lo vede come una roccia alla quale aggrapparsi. Nonostante questo, lui alla fine vede un cielo nel quale risalire, un cielo pieno di larve, però a mio dire, a mia libera interpretazione, è come se volesse usare questo cielo di larve come fosse una grande metafora, come per dire: noi siamo miseri, noi pecchiamo, ma se guardiamo un cielo che ha bisogno di un defibrillatore, è perché il cielo è l’unico che può salvarci.”

Y: “A questo punto la speranza credo sia proprio assente… e non c’è forzatamente un messaggio positivo nelle sue poesie…”

GA: “Sai, spesso per un cattolico, per uno scrittore cattolico, se vuoi parlare di Cristo, non sei obbligato a parlare di Cristo. Cattaneo non voleva dare delle speranze, però voleva parlare della realtà, e dire tanta troppa verità senza chiederci il permesso, come? Lanciando questi messaggi in bottiglia in mare aperto.”

Y: “Mi verrebbe da dire che sia il dovere del poeta non omologarsi e lanciare la verità in faccia a tutti. In questo caso per Cattaneo è una verità palese, spessa.”

GA: “Sì, era troppa verità, e il mondo non era pronto per questo, tant’è che questo lo ha portato a essere un autore di culto.”

Y: “Diciamo un outsider, si può dire?”

GA: “Ma certo! Lo era.”

Y: “Prima di salutarci, dicci qual è la cosa più bella che non puoi non dire.”

GA: “La cosa più bella è quando la poesia passa nel silenzio e nella testimonianza di altre persone, questo è successo quando Temporelli parlava del suo amico. E il fatto che noi siamo portati a scoprire un po’ per curiosità, un po’ per passione e soprattutto perché crediamo nel valore sacro della parola e della poesia, e soprattutto perché qualche amico ce ne parla, questa è la cosa che vorrei dirti, che vorrei lasciarti. È un po’ un discorso evangelico, per chi ci crede e no. È anche un discorso poetico in primis, perché la poesia passa attraverso un sentito dire, leggere lo vai a leggere dopo. Per destino non lo sai, magari una sera vai a un incontro al quale non volevi neanche andare, perché devi andarci da solo, poi alla fine ci vai. E senti parlare di qualcosa che ti folgora. Così è successo per me con Cattaneo. Quindi mi è successo da non conoscere Cattaneo a scrivere un saggio, sostenendo una tesi che nessuno a oggi ha ancora sostenuto.”

Y: “Infatti, dimmi come ti è venuta l’idea di scrivere questo saggio, che vedo più come un omaggio, potevi in realtà leggere Cattaneo e tenerlo con te…”

GA: “Sì, è una cosa che è nata nel tempo per due motivi. Il primo quando ho pubblicato Poesie dall’inferno ho chiesto a Temporelli se voleva prefare il libro, così lui ha visto come un passaggio di testimone tra me e Cattaneo. Nonostante io abbia sostenuto sin da subito che Cattaneo è unico e irripetibile. Il suo stile è inimitabile. L’altro è che bisogna omaggiare Simone, questo libro per me è esattamente un omaggio come dicevi tu, perché si rischia di essere tacciati parlando di lui, a me è accaduto questo. E sono contento sia accaduto. Io sono uno di quelli che purtroppo dopo la sua morte ha cominciato a leggere e parlare di lui. Bisogna omaggiare una persona così, una persona che ha avuto il coraggio di dire certe cose come stavano, e se una persona di cui tu parli ti fa guardare storto, non dico orgogliosamente, ma come guardavano storto lui, per me è paradossalmente positivo. Io sono stato in passato tacciato, mi hanno detto: cosa stai dicendo! Ti rendi conto quella persona cosa scriveva e tu stesso lo scrivi nelle tue poesie! Quindi va omaggiato in questo senso, perché vuol dire che scuote dentro… se le parole ti parlano come un terremoto, allora vuol dire che c’è veramente qualcosa di vero, che poi rimane e rimarrà nel tempo, una poesia immortale.”

Y: “Frequentando ambienti poetici e seguendo le riviste letterarie, quanto pensi si parli di Cattaneo, c’è il rischio di perderlo per sempre? Ho come l’impressioni che se ne parli poco, e credo che parlandone poco questa piccola riscoperta che hai portato a noi, con il tuo saggio, potrebbe non bastare per ricordare la poesia di Simone. Se non è stato ricordato prima, come ricordarlo oggi al meglio?”

GA: “Questo non potremmo mai saperlo, ci sono stati tanti poeti che in vita hanno avuto glorie e onori poi una volta morti sono stati dimenticati. Con Cattaneo mi viene da dire che è accaduto il contrario. Certo poi, è chiaro che agli incontri o festival di poesie non propongono poesie di Cattaneo… non si leggono perché sappiamo benissimo cosa scriveva.”

Y: “Beh, mi piacerebbe pensare che nel 2019 quello che scriveva Cattaneo non sia un tabù anche oggi…”

GA: “Ma si, la penso come te, per dirti in quella poesia che dice vorrei farmi esplodere in una chiesa islamica, come in una chiesa cristiana o in un supermercato. Lui aveva già capito tutto, lui ci stava dando un messaggio ben preciso, lui descriveva la realtà per quello che era, non solo un discorso di terrorismo che c’era e che c’è ancora oggi, ma anche un discorso che probabilmente un’altra parte di terrorismo che lui aveva già capito, ed era quella emporiocentrica, quella del Dio denaro e via dicendo. Però sì, sconvolge il fatto che ci sono poesie brutte pubblicate dalla Bianca Einaudi e non mi vergogno a dirtelo!”

Y: “Infatti ti volevo dire, cosa pensi della deriva poetica italiana del 2000, si leggono cose assurde, a volte ti chiedi come sia possibile. Volevo un parere da te che sei un poeta che stimo. Sai, ho 29 anni e vedo persone che pubblicano poesie su poesie, poi mi dico: veramente c’è così tanta poesia oggi in Italia? Sembra che ogni persona possa pubblicare in ogni istante un libro, ma che sia per Einaudi o per qualsiasi piccola casa editrice. Che poi piccola o grande a volte pare se ne approfittino un po’, sembra non venga mai pagato il valore e la qualità del testo. Anzi sei tu che devi pagare, mia nonna diceva: senza denari non si cantano messe. Credo sia proprio così.”

GA: “Prima di tutto come ben sai, quindi sarò molto breve e conciso, i social hanno enfatizzato questo voler scrivere a tutti i costi per tutti e chiunque e mi fermo qui. Fosse solo questo, dici va bene è un problema che si può tra virgolette risolvere e bypassare perché se uno studia, legge, crede in questo sogno chiamato letteratura, che poi non è un sogno, ma una vita spesa nel sacrificio, nella solitudine e quant’altro. Allora capisci bene che le delusioni possono essere tante, e io ho avuto modo, oggi lo faccio meno, di frequentare molto gli ambienti milanesi. Frequentavo gli ambienti poetici anche negli ultimi anni, gente mi vien da dire “di potere” e non ti faccio nomi, però hai capito cosa voglia dire… è tutto, come dire… ora ti dirò una cosa che avrai già sentito ripetere tante volte… è un mondo anche qui dove c’è la mazzetta, in cui ognuno deve difendere il suo orticello. Io vedo e conosco poeti e scrittori anche famosi, voglio dire grandi nomi, come sto anche con chi ha appena iniziato, è un discorso dove tutti devono difendere il proprio, non ci deve essere l’apertura al nuovo, perché deve primeggiare tizio, caio e sempronio, perché così deve essere. Tu dicevi prima, si deve pagare per pubblicare, è vero. Io stesso pago per i miei libri… ci sono anche le grosse case editrici che ti pubblicano solo se tu le paghi… quindi da una parte c’è un discorso di clientelismo anche in letteratura, allora tu cosa fai? O ci rimani male, e getti la spugna e decidi di fare altro nella vita. È chiaro poi che fare poesia non ti porta da vivere. Però o getti la spugna o porti avanti in una maniera più seria, con umiltà, con sofferenze e vai avanti comunque, perché la realtà poetica e letteraria italiana te l’ho spiegata, la conosci anche tu, non giriamoci intorno.”

Y: “Come funziona quindi per farsi conoscere e per farsi scoprire, un po’ come ha fatto Cattaneo?”

GA: “Funziona che non devi demordere, che devi continuare, sperando contro ogni speranza, contro ogni muro che ti si para davanti, contro quello che ti passa davanti che non vale un centesimo più di te eppure ti è passato davanti. Come ti dicevo… Getti la spugna? Se vuoi puoi gettarla, altrimenti vai avanti lo stesso. Dipende solo da te. Anche io soffro tanto, è così per tutti.”

A cura di Paolo Pitorri

*

Di seguito proponiamo tre poesie di Simone Cattaneo, la prima estratta da Peace & Love, pubblicato da Il ponte del sale (2012), le ultime due da L’opera comune, antologia di poeti nati negli Anni Settanta, a cura di Giuliano Ladolfi, Edizioni Atelier (1999):

Sono tornati più tardi, ubriachi ma ancora lucidi
in un locale pieno di ragazze che non avrebbero potuto mai possedere,
non erano belli e non avevano soldi, tutto chiaro quindi.
Il cielo pieno di larve, salirono in macchina e lasciarono Milano
per ritornare nelle spolpate strisce delle loro case.
Ma guardandosi il cazzo anche questi due bastardi volevano venire
prima di essere uccisi, si spompinarono, si masturbarono e
lo sperma sulle loro pance gonfie divenne lucida pelle di lucertola.
Basta una pausa per riempire scapole e mani e nessuno ti può più dire:
vattene ora.

*

La pioggia con
la coda cromata
splende dritta
per poi rannicchiarsi tutta:
è conoscenza
d’un male così calmo
da rimanere trasparente
ad ogni mio passaggio.

*

Squarcia i miei rifugi
con moderata dolcezza
affinché possa vederli
crollare in frantumi
e ad ognuno di essi
possa dedicare un canto,
una preghiera sommessa
fa che li possa riconoscere,
che li possa odorare prima
che sprofondino
nel colore amaranto dell’incredulità
a te sempre così vicina
da far sembrare livore la tua passione
e mosche il tuo cibo,
fa’ che la mia pelle si rassodi
e che dimentichi il piacere
raffermo e salato del
sentirsi inchiostro bruciato e protetto,
fa’ che la mia fortuna
sia farinosa ed adunca
fa’ che la tua trasparenza
sia il mio unico confine.