Giancarlo Lombardi

Pape Satàn: la soluzione di un mistero durato 700 anni

Pape Satàn: la soluzione di un mistero durato 700 anni ( di Giancarlo Lombardi)

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Entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem.

Aan al mijn vlaamse vrienden

  1. Introduzione

Facciamo parlare il sommo Poeta (Inf., VI, 112-115 e VII, 1-15):

Noi aggirammo a tondo quella strada,
parlando più assai ch’i’ non ridico;
venimmo al punto dove si digrada:
quivi trovammo Pluto, il gran nemico.

"Pape Satàn, pape Satàn, aleppe!",
cominciò Pluto con la voce chioccia;
e quel savio gentil, che tutto seppe,
disse per confortarmi: "Non ti noccia
la tua paura; ché, poder ch’elli abbia,
non ci torrà lo scender questa roccia".
Poi si rivolse a quella ’nfiata labbia,
e disse: "Taci, maladetto lupo!
Consuma dentro te con la tua rabbia.
Non è sanza cagion l’andare al cupo:
vuolsi ne l’alto, là dove Michele
fe’ la vendetta del superbo strupo."
Quali dal vento le gonfiate vele
caggiono avvolte, poi che l’alber fiacca,
tal cadde a terra la fiera crudele.”

Per il famoso verso "Pape Satàn, pape Satàn, aleppe!" sono state proposte molte interpretazioni linguistiche partendo dall’ebraico, passando per il greco e l’arabo e arrivando al francese, all’ungherese e ad altre lingue. Ci si limita qui a citare il conciso ma completo e recente commento di G. Inglese [1], che riporta “Pape” come grecismo latino da “papae”, interiezione di meraviglia, e “aleppe” da “alef”, prima lettera dell’alfabeto ebraico, nel senso di interiezione di dolore, seguendo Arrigo da Settimello: “Quomodo sola sedet probitas! Flet et ingemit: Aleph!”. Il nuovissimo Dizionario della Divina Commedia [2], dato alle stampe per il DCC della morte del Poeta, non si discosta da questa interpretazione, che giustamente Inglese utilizza per indicare che l’oscuro verso è un’invocazione di un intervento di Satana per impedire il passaggio dei due Poeti. Tuttavia, rimane l’evidente forzatura di invocare l’intervento con un’espressione senza un vero senso compiuto tra la meraviglia e il dolore.

Occorre tuttavia ancora una volta esaminare cosa accade sulla scena. Sul finire del sesto canto i Poeti scendono per un sentiero che curva aggirando un costone (perché arrivano al punto “dove si digrada”). Con grande gioco teatrale Dante termina il canto con una bella “suspense” degna di Alfred Hitchcock: appare improvvisamente Pluto, “il gran nemico”. Il settimo si apre a sorpresa con la misteriosa invocazione subito diretta dal demonio, in faccia tanto al lettore, quanto ai due viaggiatori, con l’effetto onomatopeico della “voce chioccia”, che richiama sorpresa preoccupata. Lo stupore della reciproca apparizione è manifesto e l’espressione del verso denota chiaramente ansia e spavento. I due Poeti si mettono al centro della scena: Virgilio invita Dante a non avere paura e urla al “pallone gonfiato” di Pluto (la “‘nfiata labbia”) di lasciarli in pace, perché è da Dio che loro sono lì e Satana nulla può per fermarli. Immediatamente con grande effetto finale, Pluto “si sgonfia” muto e cade a terra con un tonfo sordo, come evocato dall’immagine della vela sbattuta dal vento.

Da molti secoli, a cominciare dai figli stessi di Dante, che si impegnarono a commentare l’opera del padre, è sorta la domanda su cosa voglia veramente dire “Pape Satàn, pape Satàn, aleppe!” in un contesto così palesemente teatrale, ma al tempo stesso pieno di richiami a emozioni e situazioni così familiari. Non bisogna dimenticare che il Poeta concepì la sua opera in lingua volgare per un’accessibilità a un pubblico più vasto di quello tipicamente aulico e che aveva ben presenti situazioni, luoghi e persone vicini all’epoca in cui essa fu scritta.

 

 

  1. Pape” e “alp”

A tal fine bisogna considerare l’ambiente socioeconomico delle Fiandre Occidentali (West Vlaanderen) e in particolare quello di Bruges (Brugge) ai tempi di Dante. In quelle regioni la lingua parlata, tanto all’epoca quanto oggi, è il neerlandese nella variante fiamminga (vlaamsche nederlands, vlaams o vlaamsch). La regione pianeggiante che va dalla regione tra Lille (Rijssel) e Dunkerque (Duinkirk) fino alla Bassa Sassonia (Niedersachsen) è stata caratterizzata attraverso i secoli da una forte differenziazione e dall’essere compressa tra il mondo francese e il mondo alto-tedesco e un mare, che è stato per molti secoli ostile e dal quale la terra andava strappata palmo a palmo. Al tempo stesso, il mare e i molti e larghi fiumi della regione sono stati vie di trasporto e di scambio che hanno reso quelle terre estremamente dinamiche a partire dall’alto Medioevo [3] e, nel caso specifico di Bruges, fino all’interramento del porto fluviale a partire dalla metà del Trecento. Il dinamismo e la differenziazione hanno comportato lo sviluppo di notevoli regionalismi e identità cittadine, che hanno portato a numerose varianti dialettali, similmente a quanto accaduto in Italia. Per l’uso attivo del dialetto e le pratiche commerciali e di interazione con culture confinanti molto differenti, il mondo neerlandese è paragonabile al nostro Triveneto (Venezia è anche e forse non a caso una città strappata all’acqua).

Per analizzare il nostro verso, occorre considerare la variante del fiammingo occidentale (Westvlaamsch) parlata proprio a Bruges e dintorni. Le fonti a disposizione, in particolare per la sua evoluzione storica e le testimonianze disponibili tra il XII e il XIV secolo, sono in un testo di J. Jacobs [4], da cui traiamo i documenti e le indicazioni che seguono. Esiste inoltre un relativamente recente dizionario di questo dialetto [5] e gli aspetti fondamentali sono finanche trattati in una pagina Wikipedia in neerlandese [6].

Un documento testamentario redatto dal parroco Werniir di Oudenburg presso Bruges del 1282 comincia con l’intestazione “Jc (Ik, Io) Werniir, pape van Oudenburgh”. Il prete o padre (pape) svolge la funzione di notaio per un atto privato (private akt) di cessione da parte di una vedova di terre all’abbazia di St. Peter a Oudenburg (cessione effettuata nelle mani dell’abate, abbet). Inoltre nel testamento di un membro di una confraternita di Oudenburg (Oudenborch) del 1325, è attestato il termine “pape” nel termine legale e formale “prochipape, ossia prete a capo della parrocchia. Questo termine è in uso ancora oggi e forma l’origine del diffuso cognome fiammingo De Paepe (da leggere “pape” con “a” aperta), come legato alla sfera di un “padre” in senso di autorità religiosa, o letteralmente o per traslato a causa dell’austerità dei modi o dell’aspetto. Occorre evidenziare che la parola pape in fiammingo è diversa da paues (papa), nominata in altro documento del 1282, o da bisschop (vescovo): la sua origine deriva nell’alto Medioevo dai missionari di provenienza mediterranea (cf. gr. παπάς).

Tra le regole di espressione dialettale caratteristiche della regione di Bruges attestate tra il XIII e il XV secolo viene ricordato espressamente il verbo “alpen” (da leggere “alpen”, con “a” breve e aperta, come in italiano “alpe”, ed “e” chiusa, scritto anche come “halpen”), come variante dialettale di “helpen” (aiutare), dalla radice anglosassone help-/helf-. Il suo imperativo (gebiedende wijs) è “alp” o “alpt”, col significato di “aiuta” o, semplicemente, “aiuto” (cfr. l’inglese help o il tedesco hilfe), attestato sin dall’alto Medioevo. Questa pronuncia così caratteristica nel mondo neerlandese perdura ancora oggi e qualifica un abitante di Bruges, tanto quanto un napoletano che dica la parola “uovo”.

Se “pape” compare nel verso oscuro letteralmente, “halp” viene translitterato con una volgarizzazione toscana in “aleppe” (per far rima con “seppe”), dove la “e” traduce la vocalizzazione gutturale della “l” in “halp”. Occorre tenere in mente, per capire e giustificare la trasformazione, l’interpretazione di Pedrocchi dell’altro noto verso oscuro “Raphèl mai amècche zabì almi” (Inf., XXXI, 67), dove “amècche” è traslitterazione analoga dell’ebraico “amech” (attestato nella locuzione “amech ami” del Libro di Rut, 1,16-17. Visto che in quel passaggio del Libro di Rut si parla del popolo di Israele e del suo rapporto con Dio, e “zabí” ha la radice della parola che significa “colore”, si potrebbe pensare che quel verso possa essere almeno suggestivo di un senso del tipo “Arcangelo Raffaele, ma di quanti colori hai reso il popolo!”, con allusione al biblico arcobaleno della pace tra Dio e l’umanità rappresentata da Noè, che si interrompe con la torre di Babele - ma questa digressione porterebbe troppo lontano! -). Del resto, per rimanere con termini familiari, il ben noto saluto arabo salaam’ aleikum è stato similmente volgarizzato in “salamelecco”.

Con questa analisi il verso in discussione si inserisce in maniera naturale nel suo contesto, che è stato prima discusso, col significato “semplice” di “Padre Satana, padre Satana, aiuto!”, laddove Satana è indicato tecnicamente, quale figura “ecclesiastica” dell’Inferno con poteri giurisdizionali civili, con chiaro intento per i lettori ben avvertiti. Il successivo richiamo alle vele e al vento diventa forse anche un’allusione alla navigazione e al vento nella Fiandra e nei Paesi Bassi, vento che soffia spesso e volentieri impetuoso e costante dal Mare del Nord (Noordzee) e che all’epoca di Dante e fino al XX secolo spingeva il mare a invadere la terraferma faticosamente difesa dalle dighe, come il Poeta aveva ben presente (si vedano le citazioni nel prossimo paragrafo). È notevole che un tipo di queste dighe (zomerdijk: diga fluviale per fermare le acque d’estate) sia nominato nel documento del 1282 citato sopra.

  1. Dante e il Westvlaamsch

Sembrerebbe dunque che Dante abbia ascoltato o letto parole nel dialetto di Bruges e abbia deciso di riportarle nella Divina Commedia. Questo fatto non è inverosimile, in quanto P. Errera [7] dedica un articolo proprio ai contatti di Dante con la Fiandra e ricorda i versi (Inf., XV, 4-6 e Purg., XX, 46-47):

Quale i Fiamminghi tra Guizzante e Bruggia
temendo il fiotto che vềr lor s'avventa
fanno lo schermo perchè il mar si fuggia.

Ma se Doagio, Lilla, Guanto e Bruggia
potesser, tosto ne saria vendetta.

Bruggia” è traslitterazione del fiammingo dialettale “Brugghe” (standard “Brugge”), attestato nei documenti almeno nel XIII e XIV secolo [4], che designa in madrelingua la città di Bruges e significa “ponte”, “pontile”. È notevole che essa venga nominata ben due volte, insieme alla traslitterazione dei nomi di Douai, Lille, Gand (Ghent), Wissant. Questo non deve sorprendere perché nel XIII e XIV secolo la produzione del panno e dell’arazzo a Bruges e nelle Fiandre Occidentali era molto consolidata, come lo erano i conseguenti rapporti con Firenze per l’importazione e l’esportazione di prodotti tessili e per le attività bancarie connesse all’imprenditoria (Errera cita tutte le famiglie di “Lombardi” fiorentini e lucchesi, che vissero nella regione e sono ricordate nella Divina Commedia).

Il poeta, almeno quale priore, sicuramente non solo avrà sentito i racconti di mercanti e banchieri fiorentini di ritorno dalla Fiandra, ma avrà incontrato qualche commerciante o ambasciatore fiammingo in visita a Firenze e, mediante interpreti o parlando direttamente in volgare o in latino, avrà letto qualche documento ufficiale redatto in quella lingua, del tipo di quelli citati in [4]. È notevole che tra questi banchieri ci fosse il padre di Beatrice, Folco Portinari, il cui discendente Tommaso si trasferì decenni dopo proprio a Bruges, commissionando un ritratto suo e di suo padre, anche Folco, a Hans Memling di Gand (ambedue capolavori del maestro). Tra loro c’era anche il marito di Beatrice, Simone de’ Bardi, la cui famiglia, anche molto legata a Bruges, non è nominata con tutte le altre nella Divina Commedia (tra le quali spiccano i colleghi Peruzzi, la cui cappella a Santa Croce è vicino a quella dei Bardi), forse perché già la donna vi è nominata.

La lettura da parte di Dante di qualche documento non è impossibile, in quanto, come per esempio i documenti di Jacobs citati prima a proposito dell’abbazia di St.Peter a Oudenburg testimoniano, le abbazie fiamminghe accettavano lasciti testamentari, che includevano beni terrieri e immobili, e investivano attivamente in un modo esemplare a livello europeo i proventi risultanti in modo imprenditoriale, creando grandi fattorie (boerderijen) gestite con l’aiuto di mezzadri e diventando molto potenti, come discusso egregiamente in [3]. Visto che l’allevamento delle pecore da lana era una voce importante [3] e la varietà della pecora fiamminga (Vlaamse schaap) veniva selezionata allo scopo proprio a partire dal Medioevo, i “Lombardi” potevano anche stipulare accordi sul posto per forniture di lana con le abbazie con l’aiuto di intermediari notarili ecclesiastici (pape) o di funzionari laici con analoghe prerogative (scepene, cf. [4], per un documento del 1335; standard schepen, fr. échevin, lat. scabinus). A questo riguardo, molti italiani si trasferirono nelle Fiandre per svolgere la professione di funzionari notarili. A testimonianza ben nota e diretta dell’imprenditoria abbaziale fiamminga, ancora oggi la maggioranza delle rinomate birre della Fiandra sono prodotte in monasteri e abbazie.

A visiva, anche se più tarda, testimonianza di questi antichi e saldi rapporti vale la pena ricordare qui brevemente agli Uffizi di Firenze il Trittico Portinari di Hugo Van Der Goes da Gand, commissionato sempre da Tommaso, che rivoluzionò la pittura rinascimentale in Toscana, e proprio a Bruges la Madonna con Bambino di Michelangelo, che con dolcezza materna guarda il visitatore nella Onze-Lieve-Frouwkerk.

  1. Dante e le lingue straniere

L’opinione di Dante sull’uso di lingue straniere è espressa nel Convivio (Cap. XI) “a perpetuale infamia e depressione de li malvagi uomini d’Italia, che commendano lo volgare altrui e lo loro proprio dispregiano”. Eppure egli compone in langue d’oc in Purg. XXVI, 140-147 (e probabilmente conosceva dal suo maestro Brunetto Latini anche la langue d’oil, antenata del francese, che pure è stata utilizzata per formulare ipotesi sul verso) e, come visto, inserisce un po’ di fiammingo e di ebraico.

Ciò però non appare in contraddizione con la sua opinione, in quanto gli interventi in lingua volgare straniera si fermano al Purgatorio. Infatti, il poeta dedica le pagine più umanamente intense e vivaci proprio alle prime due cantiche, che esprimono la diversità e le debolezze dell’umanità, e con fine spirito sottolinea questa inerente diversità con il comporre anche in lingua straniera e con il condannare al tempo stesso e senza mezzi termini chi è causa di separazione in campo linguistico (Nembrot) o religioso (Maometto). In una visione prerinascimentale, egli vede il mondo imperiale di base romana e cristiana come fonte di suprema unità ed elevazione politica, culturale e morale (non a caso il suo De Monarchia fu scritto in latino e non in volgare), visione unitaria che è immagine speculare dell’unità trascendente dell’umanità nella luce di Dio trattata nel Paradiso.

  1. Il segreto svelato

Dunque, il segreto celato da Dante in questo verso è finalmente svelato. Molti prima di chi scrive hanno scritto la stessa affermazione, ma la differenza è che qui ci sono delle evidenze circostanziali che si ritiene potrebbero reggere una prova forense.

L’aspetto più importante, che il poeta ha gelosamente celato, è quello linguistico, ossia il fatto che il verso si presenti come la traslitterazione in volgare toscano di una frase fiamminga, che usa parole del tutto caratteristiche del dialetto di Bruges: “Pape Satan, pape Satan, halp!”. La scelta di questo dialetto appare guidata dal cuore, come quella della langue d’oc usata da Arnaut Daniel, il grande trovatore e scrittore d’amore provenzale (anche l’ebraico di Nembrot si può vedere come una lingua d’amore geloso, perché riguarda il rapporto tra Dio e il suo popolo d’elezione). Infatti è una lingua che si lega in modo indissolubile all’adorata Beatrice: essa appartiene al mondo dei rapporti bancari e di commercio a Firenze, che con le Fiandre, e in particolare con Bruges, erano tra i più stretti e mantenuti appunto tra gli altri da Folco Portinari e Simone de’ Bardi, padre e sposo di Beatrice. Del resto, quell’antenato dell’omonimo Folco Portinari che guarda pensoso nel ritratto del fiammingo Hans Memling, commissionato a Bruges da suo figlio Tommaso, proprio là fu mandato stabilmente da Cosimo de’ Medici, “il Vecchio”, probabilmente proprio per gli ancestrali rapporti della sua famiglia con quella città. Per questo la città di Bruges si vede nominata ben due volte nel poema con singolare insistenza.

Il senso della frase, pertanto, sarebbe: “Padre Satana, padre Satana, aiuto!” e l’interpretazione si inserisce perfettamente in modo centrale a inizio canto e senza ricorso a vaghe interiezioni nell’atmosfera di mutua sorpresa e reciproco timore, sottolineata dalla cesura dell’episodio di Pluto a cavallo tra i due canti insieme a tutti gli aspetti di suspence e di teatro sottolineati in partenza, che esemplificano in modo così diretto il concetto di “commedia” applicato al poema.

  1. Evitare l’accusa di blasfemia

Rimane infine da completare l’investigazione e formulare ragionevoli ipotesi sulle motivazioni di Dante nell’uso di un dialetto fiammingo ignoto al di fuori della ristretta cerchia dei mercanti e banchieri, che intrattenevano rapporti diretti con le Fiandre.

Queste parole sono state messe da Dante in bocca a Pluto, dio della ricchezza, il quale si rivolge al demonio in persona chiamandolo in modo inequivocabile “padre” nel senso di autorità “ecclesiastica” con potere temporale. Intanto, l’uso di una lingua legata all’ambito bancario e commerciale estero con l’aspetto inerente del cambio di valute non può non evocare la cacciata evangelica dei mercanti dal tempio: l’associazione con la gerarchia ecclesiastica che ne consegue stimola a pensare a un attacco diretto ad essa, come attaccata alle ricchezze facendone commercio, che però il poeta deciderebbe di velare con parole sconosciute ai più e che già al suo tempo potevano prestarsi a più inoffensive interpretazioni, come inizialmente ricordato. Questa associazione è in qualche modo sottolineata dalla qualifica di “lupo” attribuita a Pluto, laddove il lupo evoca spontaneamente la brama famelica di ricchezza, ma è anche l’animale legato a Roma, sede della Chiesa.

La Divina Commedia contiene frequentemente questo tipo di riferimenti: nell’Inferno il VII canto nell’ambito della punizione degli avari fa menzione anche di papi e cardinali e il XIX sempre dell’Inferno è dedicato addirittura alla punizione degli ecclesiastici simoniaci, tra cui il vituperato papa Bonifacio VIII. Del resto, Dante non fa mistero, come detto precedentemente, della sua ammirazione per l’Impero e per l’ideale di povertà nell’ambito della Chiesa propugnato dell’allora recente movimento francescano (e anche dai movimenti catari nel Paese della langue d’oc). Ciò sarà infine causa del suo lungo esilio concluso dalla morte a Ravenna 700 anni fa. Tuttavia, egli aveva bene in mente la scomunica rivolta contro l’imperatore Federico II di Svevia, stupor mundi, che lui ammirava profondamente come grande unificatore e per la sua profonda cultura, tanto che ne pone la madre Costanza d’Altavilla nel Paradiso (Par., III) e la cita pure in Purg., III.

Già la presenza sparsa di bestemmie e di atti sconci nella redazione dell’Inferno poteva far arricciare il naso (e la pederastia fu una delle accuse per cui fu esiliato), sebbene il suo intento moralistico di citare fotograficamente il male come tale per farne allontanare è ben chiaro. Nel passaggio in questione però farebbe un passo in più: assocerebbe l’autorità religiosa cristiana in quanto tale non solo alla finanza mal accumulata e commerciata, ma esplicitamente al nome del diavolo in persona. Infatti, anche senza pensare a una confusione tra pape e paues, comunque la figura ecclesiastica con potere secolare è messa con coscienza del suo senso legale in associazione con il diavolo. Anche a uno spirito colto e coraggioso come il suo, questo sarebbe dovuto sembrare un azzardo che lo poteva esporre a una giustificata accusa di eresia e blasfemia e per questo verosimilmente avrebbe attenuato la violenza di questa associazione, che gravava su di lui pesantemente, come uomo del Medioevo, rendendola innocua alle orecchie dei più con l’uso di un dialetto straniero poco noto. Per di più Dante stesso cerca di smentire questa combinazione con il verso “Lo ’mperador del doloroso regno” (Inf., XXXIV, 28) usato enfaticamente proprio per dare inizio alla descrizione finale di Satana, dove è perlomeno singolare proprio in questo contesto un ricorso così esplicito all’immagine della figura imperiale, considerando invece le dichiarate simpatie dantesche per l’autorità monarchica, quale forma ideale di governo garante suprema di giustizia e di assenza di corruzione (De Monarchia, libro I, capp. XI, XII).

L’invettiva lanciata in modo così velato da Dante contro la Chiesa accumulatrice e commerciante in denaro combacia con le pacate ma dure parole su questo tema affisse a Wittenberg da Martin Lutero ben duecento anni dopo. Mentre Lutero avrebbe goduto della protezione dell’Elettore di Sassonia, Dante in Italia al contrario non avrebbe avuto nessuno scudo al tempo suo, dato di fatto “che nel pensier rinova la paura”.

Bibliografia

 

  1. A cura di G. Inglese, Commedia, Carocci Ed., 2020;

  2. A cura di E. Malato, Dizionario della Divina Commedia, Salerno Ed., 2018;

  3. J.M.H. Smith, Europe after Rome: a new cultural history 500-1000, Oxford University Press, 2005 (trad. it.: L'Europa dopo Roma. Una nuova storia culturale (500-1000), Il Mulino, 2017);

  4. J. Jacobs, Het Westvlaamsch van de oudste tijden tot heden (Il Fiammingo Occidentale dai tempi più antichi ad oggi), J. B. Wolters, Groningen, 1927;

  5. Werkgroep Brugs Woordenboek, Brugs Woordenboek (Vocabolario del dialetto di Bruges), Brugs Ommeland, Brugge, 2001

  6. Brugs (dialect) (Il dialetto di Bruges), https://nl.wikipedia.org/wiki/Brugs_(dialect);

  7. P. Errera, Dante e le Fiandre, in Dante, La vita, Le opere, Le grandi città dantesche, Dante e l’Europa, F.lli Treves Ed., 1921, pp. 315 ss.

Giancarlo Lombardi nasce a Napoli il 2 dicembre 1971. Dopo la maturità classica con lode nel 1988 (tra i primi in Italia a riceverla), intraprende studi di ingegneria ottenendo la laurea con lode nel settore telecomunicazioni all’Università di Pisa nel 1994, collaborando per qualche tempo anche con l’Università di Firenze, e il dottorato di ricerca in ingegneria dell’informazione presso l’Università di Trieste nel 1998, lavorando allo stesso tempo per l’industria della telefonia mobile. È stato anche allievo della Scuola Superiore “S. Anna” (SSSUP) dal 1990 alla laurea. Lascia l’Italia all’inizio del 2000, lavorando presso la Siemens Telefonia Mobile in Germania nella Westfalia, e poi da fine 2000 presso l’Ufficio Europeo dei Brevetti nell’ambito della compressione video, vivendo fino al 2006 nei Paesi Bassi all’Aia e fino a oggi nuovamente in Germania a Monaco di Baviera. Svolge il suo lavoro in tre lingue (inglese, francese, tedesco) e oltre a queste parla spagnolo, greco, neerlandese e portoghese, senza dimenticare le lingue classiche del liceo, nonché la sua madrelingua. Ha una moglie greca e tre figli con una conseguente Babele in casa. Le sue conoscenze variegate nelle scienze fisiche, naturali e matematiche non lo hanno allontanato dall’amore per il mondo umanistico, avendo interessi nella letteratura (specie classica e italiana) e nella storia. Scrive per piacere e meditazione da trent’anni poesia.