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Ananke su '900 Letterario

di Davide Morelli

Di sicuro, oggi come oggi, nella poesia contemporanea italiana “le mappe non sono più possibili”, come ha scritto Giulio Ferroni. Inoltre forse oggi è improbabile il rapporto tra impegno e poesia, tra religione e poesia. Tuttavia si può affermare che è saldo il legame tra filosofia e poesia.

Sanguineti sosteneva comunque che la poesia fosse uno sguardo vergine sul mondo. Quindi sarebbe l’animo umano a fare poetico il mondo. Potremmo però anche pensare che la poesia si trovi sia nella mente che nella realtà, oppure che nasca da una interazione tra le due. Se consideriamo la poesia come mimesi allora il poetico sta nel mondo. Se consideriamo la poesia come rivelazione allora il merito sta tutto nell’artista o in Dio. Se consideriamo la poesia come trasfigurazione o come insieme di “corrispondenze” (come le intendeva Baudelaire, che creavano perciò “una foresta di simboli) allora il poetico sta sia nel mondo che nell’io.

Angela Greco: la poesia codifica il mondo

In tal senso la poetessa Angela Greco non solo sa cercare la poesia in ogni angolo di mondo, ma sa anche codificare poeticamente il mondo. Sa riflettere profondamente sul mondo oltre a filtrare le voci e le suggestioni dei grandi poeti. Questo è ciò che conta e non è affatto poco. Essere poeti deve quindi intendersi se non come un lavoro (visto che pochissimi riescono a guadagnare qualcosa con i versi. Un tempo si diceva “ut pictura poesis”, ma oggi la pittura, a differenza della poesia, riesce ad essere ancora remunerativa) quantomeno come un continuo ed ininterrotto lavorio: essere sempre in ascolto, scegliere parole, revisionare tutto, accordare il tempo della vita a quello della poesia.

La nuova raccolta di Angela Greco si intitola Ananke, che significa in greco “forza del destino”, ma toglietevi dalla testa che sia fatalista: piuttosto pone continuamente l’accento sull’eterna lotta tra libertà e necessità. Questo libro è edito da Giuliano Ladolfi editore, che, come sanno addetti ai lavori ed appassionati di poesia, è selettivo e premia la qualità.

Come mette ben in evidenza nella bella prefazione il poeta Fabrizio Bregoli, la poesia della Greco deve intendersi come testimonianza del nostro tempo, della nostra epoca, che però non cade mai nel “cronachismo”, che non indica mai col dito e né si volge al tragico o addirittura all’apocalittico, dato che l’atmosfera dell’opera è sempre rarefatta.

Il pensiero poetante

Angela Greco si dimostra una poetessa significativa nel panorama letterario e che questa opera è segno inequivocabile della maturità raggiunta. L’autrice ha la disposizione d’animo, l’educazione al gusto e la tecnica per tradurre le occasioni, che la vita le dà, in poesia autentica.

È una poesia, contrassegnata in parte dallo stile colloquiale, che al contempo è espressione del proprio vissuto (interrogandosi su mutamento ed identità) senza cadere nell’egocentrismo (i componimenti non sono confessionali, in essi non prevale il dato egoico) ed è “pensiero poetante”: una poesia che quindi affronta i rovelli esistenziali e metafisici e cerca sempre il codice di accesso all’essere, senza mai essere consolatoria. Poesia in questo senso deve intendersi anche come psichismo tra la poetessa e gli affetti più cari.

L’autrice riesce sempre a non essere né prolissa, né troppo lineare, a rientrare a pieno diritto nei crismi della letterarietà. Riesce sempre a limare, a non perdersi in intellettualismi e ad evitare le semplificazioni. Il suo linguaggio è sempre diretto. Le sue cadenze sono intellegibili. Non gioca mai con i termini, non usa circonlocuzioni, che finirebbero per mistificare la realtà. Le sue parole sono essenziali come in “Satura”, ma a differenza dell’ultimoMontale la sua epigrammicità non è mai totalmente negativa, pessimista.

Come ha scritto Andrea Afribo da “Ora serrata retinae” di Magrelli in poesia “non è più vietato farsi capire”. È vero che come il poeta Lello Voce recentemente ha dichiarato la poesia debba essere considerata uno stato di eccezione della lingua.

Una raccolta che procede per sottrazione

La poesia della Greco non è poesia dell’inconscio, né iperletteraria. Non scarnifica, non spolpa la parola fino a giungere all’afasia, come fanno alcuni, né ne rovescia il senso come un guanto, come fanno altri. La poetessa talvolta procede per sottrazione, ma non eccede mai. Non solo ma – questo vale per tutti – è sempre difficile stabilire un discrimine tra accumulo e sottrazione, tra battere e levare.

A questo proposito va ricordato il paradosso del sortite, che è un paradosso generalmente attribuito al filosofo Eubilide, secondo cui non sappiamo mai definire un mucchio di sabbia, visto che togliendo o aggiungendo un granello alla volta abbiamo sempre un mucchio di sabbia.

Secondo questo paradosso anche un granello di sabbia è un mucchio di sabbia. Allo stesso modo a forza di sottrarre o aggiungere non sapremo mai esattamente che cosa sia poesia. Potremmo paradossalmente pensare che la Divina Commedia equivalga ad una poesia di tre parole. L’autrice ad ogni modo entra sempre in medias res, non si perde in preamboli.

Sa essere espressiva senza cadere nell’eloquenza o nella contro-eloquenza. Sa che le parole hanno un peso ed un preciso significato: può sembrare scontato, ma non lo è perché molti oggi perdono il rapporto autentico tra le parole e le cose. Dosa sempre le forze, non si mette a strafare, parte talvolta in sordina per poi assestare il colpo finale con le sue clausole, per  dare la stoccata finale al lettore, elargendo le sue epifanie, che non sono mai evasioni ma rivelazioni gnomiche.

La mosca di Wittgenstein è intrappolata nella bottiglia, ma potrebbe rimanere impigliata anche nella tela di ragno. Forse nessuno sa come indicarle la via di uscita. Importante è tentarci, come fa la Greco. Il linguaggio serve anche a questo. Rimbaud cercò per tutta la vita invano il luogo e la formula. La poetessa il luogo l’ha trovato: è Massafra, in provincia di Taranto.

Tra frammenti di dialogo e sentenze, espresse in una certa compostezza formale (senza far parte della corrente neometrica) il suo incedere, la sua dizione si dimostrano autonomi e la sua cifra stilistica risulta originale:

“… Quando la fame / ha un significato differente e / la notte è uno stomaco che / ricorda ogni dettaglio”, “…si procede / per sottrazioni, operazioni lontane / dei quaderni di quando eravamo piccole mani, / fiocchi colorati per distinguersi nella ressa, / inciampi di parole e ginocchia ferite”, “Il freddo stupidisce le mani; ripenso allora al tuo petto, / di notte, poggiato contro l’intermittenza degli eventi”, “Bisogna tornare a innamorarsi / con gli occhi. Qui dove l’inverno / profuma di resine bruciate nei camini, turiboli domestici / per le quotidiane sacralità, angeli vegliano / sul crocevia di giorni di pietra”, “Rimane questo giorno sospeso / tra ananke e indicibile; una via/ sconosciuta a penna e ragione, / dove camminare prima dell’ultimo buio, / senza stelle, se non i pensieri nascosti. / Ci sovrastano il tuo cielo, la sorte e le cesoie / pronti a recidere l’ultima parola. Continua a bussare a questa bocca l’attesa”.

Angela Greco riesce a bilanciarsi sapientemente tra il dentro ed il fuori, tra interno ed esterno, tra il soggetto e il mondo. Non si perde in stratificazioni, né in rizomi. Il suo dettato non è mai straniante, né eccessivo, pur mostrando le contraddizioni dell’amore, l’incomunicabilità, l’alienazione di noi contemporanei. Il trascendente in questa sua raccolta è un denominatore comune implicito, una caratteristica sottotraccia, così come è sottintesa la presenza del male e la presenza probabilmente di un deus absconditus: tre aspetti pervasivi in chi ha una vera  fede cristiana oggi.

La poesia può salvare?

La poesia forse non salverà l’anima, ma come ha scritto la poetessa Donatella Bisutti può salvare la vita. Abbiamo bisogno di una poesia come questa in una epoca, in cui siamo tutti cittadini del web e il virtuale ci distacca dalla realtà; siamo in un’epoca in cui il Grande Fratello è diventato realtà e viviamo in un panottico tecnologico; siamo in un’epoca in cui siamo passati velocemente dalla metafora

del cervello come computer ai braccialetti neurali, che leggono nel cervello, e ad alcuni geni dell’informatica, che vogliono impiantare un microchip nel cervello.

Ai giorni nostri, in cui con i social sta sempre più dominando un immaginario artefatto, è giusto e sacrosanto farsi stimolare dall’immaginario poetico, che è autentico. Abbiamo bisogno di poesia in questa massificazione imperante, con questo spirito dei tempi che nega la soggettività. L’UNESCO celebra ogni anno il 21 marzo come giornata della poesia perché essa ha «un ruolo privilegiato nella promozione del dialogo e della comprensione interculturali, della diversità linguistica e culturale, della comunicazione e della pace». Bisognerebbe ricordarsele spesso queste parole. Infine bisogna ricordarsi che secondo Junger il nichilismo non ha accesso ai giardini dell’arte.

 


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