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E sia su Poetarum Silva

Afasia della Sibilla

Passiamo una vita intera a cercare il senso.
Quando lo sfioriamo
– è viscido, non si afferra – inquieti,
delusi ci dirigiamo altrove.
Qualche testardo continua nell’impresa:
a Cuma interroga la Sibilla
rinsecchita dal tempo, presbite,
che si gira dall’altra parte
rimane indignata
mastica insofferenza:
“Chi ha osato disturbarmi?
Io non perdo il mio tempo
d’eternità in ricerche impossibili.
Solo gli uomini si ribellano
all’appartenere alla stirpe
di coloro che non sanno”.

Amore e mito

Ci sono anche quando
sono assente. Mi inchino
mansueta alle tue parole
che sanno addomesticare
la mia anima zingara.
Mi volto come Orfeo
in attesa di squarci nitidi dal passato.
Come Euridice mi inoltro
nel futuro e mi smarrisco
in isole senza pace. Sono qui,
in spazi di compassione
con il vestito a fiori
leggero di vento.
Mi rifugio in libri pesanti di vita
per tessere come Penelope
la trama del giorno che viene.
Perdo l’amore,
lo riconquisto come guerriera ostinata
nell’universo sbandato
trovo anche io confini entro cui lavarmi
dalla polvere che fatica ad andar via.
È tutto uno scendere e un salire
pietre su pietre
nel commercio con la gente.
Amo il mondo anche quando mi viene contro.
Lo devo a te.

Pretesto di Narciso

Quando mi vedo con i tuoi occhi
sono bellissima
e il mio viso si accende di luce seducente.
È il miracolo dell’amore
– mi direte, voi attenti equilibristi dalle sagge osservazioni.
È iniziata l’estate e tutto si colora a vivaci tasselli.
Sono madida di felicità
mi specchio nella fonte
– non come Narciso a innamorarsi di sé –
a guardarmi all’infinito
le rughe imperiose della vita e
ritorno da te
a comprendere i gesti perentori dell’amore.

Tu sei la mia scialuppa, io la tua.

Quello che resta

Mi chiedete, quello che resta.
Davvero, non lo so.
Forse la tana dei vermi
nel terreno grasso e umido.
Le vite dei santi e le stanze dei detenuti.
I giorni mai uguali l’uno all’altro
i minuti di sofferenza sempre uguali.
Le contusioni violacee, e il tempo
dopo le bufere. Tu che mi chiami
e mi dici:
«Come stai?»
Le voci querule di chi simula
stati di malessere. Il dolore
di ognuno infisso nelle pupille.
Tu che ammetti di stare sbagliando
a indovinare la vita.

Cassandra minore

Incede stravolta
il sangue è solo tormento
per la figlia di Ecuba,
punita dal dio amante dei poeti.
Tutti la guardano
ora che sanno di avere sbagliato
a deriderla quando tracciava
ampie e furiose
le strade della sciagura.
Sa sempre cosa dire, lei, altera,
sa sempre il rifiuto degli ottusi,
sa che i fili d’erba serbano
i furori di eroi a Troia. Eppure
al momento di partire non dice nulla,
è stanca di una volontà negata.

Infine di festa

Come fili di luce
appesi al balcone
in fine di festa
sta la malinconia.


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