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In un’epoca che sembra orientata a valorizzare tutte le differenze, legittimandole come espressioni delle convinzioni e degli stili di vita individuali, assistiamo a un paradosso: la differenza più radicale, quella sessuale, sembra quasi una categoria a rischio di estinzione. La cosiddetta Gender Theory, sorta all’interno di una corrente del femminismo, dopo aver affermato la separazione del corpo sessuato, ritenuto pura biologia simbolicamente irrilevante, dal genere, risultato culturale di dinamiche sociali e politiche, ha spinto oltre la sua critica: anche l’elemento corporeo si forgerebbe nel linguaggio e nei codici dominanti, semplice prodotto di una costruzione linguistica.
Si tratta di una tendenza che lo stesso femminismo ha considerato una inversione di marcia che conduce a una impasse insuperabile. Strano approdo per un pensiero che aveva fatto del valore del corpo la sua bandiera. L’in-differenza assoluta fa impallidire persino il dualismo, perché frantumando i soggetti nell’assoluta reversibilità di forme e di ruoli finisce per trasformare le identità in fantasmi. Da qui una nuova istanza di riscoprire la differenza. Non solo quella tra maschile e femminile, ma anche quella che si origina dentro il corpo materno. Ribellarsi all’idea di diventare menti che pensano corpi, che solo in apparenza è un gesto di libertà. Recuperare il significato personale della propria corporeità. Riscoprire l’io e la differente alterità del tu, per rendere possibile il noi.
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GIULIANO LADOLFI EDITORE s.r.l.
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