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Alessandra Palombo ha la capacità di ingabbiare cose e farle apparire. È una magia perché l’oggetto prima è invisibile, poi esce fuori dal cappello come una colomba. Nella poesia le parole sono sempre “costrette”, nel verso, nella forma, nella metrica. Alessandra le costringe ancor più, come quando scrive tautogrammi, ossia testi in cui le parole sono costrette a cominciare tutte con una stessa lettera.
Questi Mestieri non sono tautogrammi, ma caso mai epigrammi, ossia brevi poesie che racchiudono un quadretto, un personaggio incorniciato, ingabbiato nel suo mestiere. Tra mestiere e personaggio c’è una fusione totale, una commistione inestricabile, e proprio per questo non c’è alcun bisogno che anche le parole vengano costrette, e possono dunque cominciare con la lettera che vogliono. Ecco perché sono epigrammi: l’ingabbiamento è già nel tema, e la persona è lì dentro visibile, anche se non c’è più, in quel cubicolo che è il mestiere stesso, come le edicole simili a guardiole dei due giornalai, uno davanti all’altro («Stavano imbacuccati i giornalai / sotto l’orologio della porta a mare, / in due edicole simili a guardiole, / una alla destra e una alla sinistra / del tunnel, del passaggio pedonale»), o l’apino di Ciccillo il pesciaio, pieno di pesci «sui quali si posava /qualche mosca per fare, su tre ruote, / un giro del paese» (Claudio Damiani).
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Recensione di Emerico Giachery
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GIULIANO LADOLFI EDITORE s.r.l.
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