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Intellettuali: basta festival e tv, sporcatevi le mani con la realtà - Avvenire, 12/03/2014

logoavvenireNei consueti dibattiti che hanno come oggetto il ruolo dell'intellettuale, uno dei moderni errori è probabilmente la volontà di insistere sul dualismo che contraddistingue questa figura nell'immaginario nostrano. In teoria si attribuisce alla letteratura, un necessario impegno civile:lo scrittore diventerebbe engagé poiché legittimato dal suo status. L’ aspettativa ha quindi generato unm oderno sentimento di nostalgia nei confronti di uno stereotipo romantico di intellettuale, più immaginario che reale. Bisogna inoltre non dimenticare il contesto di riferimento, poiché nessun comparto della societa è rimasto immune dalla crisi, non solo a livello economico ma anche politico e sociale.

Mentre tutto ciò accadevaintellettuale-umanista ha continuato a dedicarsi alla sua arte, alla letteratura. come se questa crisi non lo riguardasse. I festival, i premi letterari hanno continuato indisturbati la loro avventura, formattandosi sempre di più al genere televisivo tanto osteggiato. C'è poi quel profondo sentimento di appartenenza allo "schieramento” che dal dopoguerra ad oggi non cessa di confondere e illudere.

 

Per molti la questione non è più di sapere chi è oggi un intellettuale, peggio sapere chi non lo è, ma preservare delle categorie definite, solo apparentemente autonome. Nella società contemporanea il sistema degli opposti e delle alternative perde di attualità, di efficacia, nel momento in cui "la crisi" e il disincanto dal capitalismo spingono alla creazione di più forti strutture di coesione. A questo proposito Roberto Carnera nel suo intervento apparso su questo giornale sabato scorso e dedicato alla "debacle degli intellettuali", concludeva sapienternente lasciando aperta una riflessione sul ruolo e la funzione dei cattolici, lamentando quasi un

insolito silenzio. Nel nostro Paese l'intellettuale, dal regista ai filosofo, dallo scienziato al sindacalista, sembrerebbe un perfetto integrato, la cui funzione sembra rivolta alla legittimazione, al consenso, e su tutti, basti notare la mole infinita di sondaggi, petizioni e raccolte firme. Nell'era mediale inoltre una nuova élite, fondata su di un regime della visibilità, marca la differenza con il passato, perché la marginalità e visibilità producono oggi una rivazione di consenso. Agli intelettuali spesso manca l'autocritica. sosteneva Habermas, altrimenti la faccenda degenera nell'esibizionismo narcisistico sui media. Il riferimento è anche alle considerazioni di Giorgio Campanini, che giustamente si domandava, proprio su queste pagine, se la fuga dall'engagement non fosse la reazione a una predominanza ed organizzazione dei discorsi pubblici da parte dei media.

ln questo contesto ci si può dunque definire intellettuali cattolici o atei? O ancora mandati? Perché se così fosse a nulla servirebbe il sacrificio di molti. Quale differenza sostanziale si interpone in Sicilia tra la figura di Peppino impastato e quella di don Giuseppe Puglisi? E quale in Campania tra Giancarlo Siani e don Giuseppe Diana? I valori dell'occidente cristiano risiedono nell'esempio e nel sacrificio. Bisognerebbe invertire il campo della lettura, poiché dal dopoguerra a oggi il ruolo svolto da alcuni preti o sacerdoti è l'emblema più alto dell'intellettualità impegnata.

Giampaolo Furgiuele

L'Avvenire

 


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