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Giorgio Anelli ha da poco pubblicato il saggio Simone Cattaneo. Di culto et orfico (Ladolfi, 2019): in questo testo si parla di Simone Cattaneo, poeta visionario, poeta del cielo, poeta suicida. Tra i suoi lavori, solo per citarne alcuni, ricordiamo: la raccolta poetica L’umana ferocia (Kolibris, 2017, di cui ci siamo occupati qui) e il romanzo Lettere da Novresch (Ladolfi, 2018). Andrea Temporelli che ha prefato L’umana ferocia, vede il passaggio di testimone tra lui e Cattaneo. Il nostro Paolo Pitorri ha scambiato quattro chiacchere con Anelli, ci ha detto che è stato emozionante, sentiva il peso poetico di Anelli da chilometri di distanza. Capite bene che non voleva solo parlare del saggio, ma volevo proprio passare del tempo, come si fa con gli amici.

 

YAWP: “Come hai conosciuto Cattaneo, so che di persona non lo hai mai incontrato, quindi puoi dirmi com’è nato questo amore per questo scrittore, poeta?”

GIORGIO ANELLI: “Simone Cattaneo in vita non l’ho mai conosciuto. Lui è salito in cielo quando ormai io non lo avevo ancora letto, l’ho conosciuto grazie alla testimonianza di un amico, un caro grande amico: Andrea Temporelli, che qualche anno fa al festival di Ladolfi a Borgo Manero ha tenuto una lezione su Cattaneo, e proprio lì ascoltavo per la prima volta parlare di questo poeta. La cosa affascinante e oltre a conoscere la sua vita, è stato anche il fatto che Andrea abbia letto un’unica poesia che poi mi ha instillato e che mi ha fatto crescere la curiosità. Poi da lì ho chiesto a Ladolfi e a Temporelli dove poter trovare i libri di Cattaneo, e nell’arco di pochi anni sono riuscito a leggerli. La scoperta mi ha affascinato come la poesia di Simone Cattaneo."

 


Una scrittura fluida e felice caratterizza il poemetto polimetro in versi liberi di Roberto Mosi, Orfeo in Fonte Santa, sia che il poeta tocchi accenti di squisita liricità, sia che introduca nei versi elementi narrativi. Gli uni e gli altri, infatti, perfettamente agglutinati, tessono una intelaiatura classicamente atteggiata, nonostante la modernità della concezione che la sorregge e della lingua di tono medio-alto, limpidamente comunicativa.

La Fonte Santa (che si trova, come si legge nell'introduzione, in un angolo felice delle colline che circondano la città di Firenze) costituisce il centro ispirativo attorno al quale si dipana la materia del canto; lemma, quest'ultimo, ricorrente e usato alla maniera dei grandi autori epici della classicità, e legato ad un altro che etimologicamente lo contiene, incanto, a significare che la poesia possiede una forza magica che vince lo scorrere del tempo, creando una dimensione parallela in cui ogni cosa non solo salva se stessa, ma si riappropria dell'integrità ontologica scoprendo i legami tra alto e basso, visibile e invisibile.


(di Maria Luisa Dezi, giugno 2019)

  • Hai un curriculum impressionante! Ma tu come sei arrivata alla poesia?

Sono arrivata alla poesia in modo insolito, direi inaspettato. Ho iniziato a scrivere dopo essere sopravvissuta ad un tragico incidente stradale. Non avevo mai scritto poesie prima di allora, anche se sono sempre stata una discreta lettrice di libri. Sono passati tredici anni dalla mia prima pubblicazione. ‘Credo’ uscì nel 2006. Da allora non ho mai smesso di scrivere in versi. Mi rendo conto che la poesia mi ha dato belle soddisfazioni nel tempo, credo di avere ancora tanto da apprendere. Non si smette mai di crescere e per come sono fatta, ho sempre bisogno di stimoli nuovi. La mia poesia è senza meta.

  • Che cosa è la poesia per te?

La poesia è la dimensione ideale in cui sto bene con me stessa e raggiungo un equilibrio con il tempo, il cosmo e le cose. La considero un dono unico e raro, così come lo è la vita. Tutto ciò che mi sta intorno può diventare fonte di ispirazione: un’alba, un filo d’erba, una foglia che cade. La poesia è ovunque. Basta saperla riconoscere.

  • Ti hanno definito la poetessa delle immagini e dei sentimenti. Come nasce una tua poesia?

Le immagini sono essenziali. Per me la poesia deve nutrirsi di visioni, percezioni, intuizioni, suoni, silenzi. Anche i cinque sensi si devono manifestare. Non ho delle regole precise per scrivere una poesia. Quando sento che devo fermarmi a fissare qualcosa sul foglio, allora lascio che siano le parole a guidarmi. Scrivo spesso a penna in un quaderno. Poi ricopio al computer. E’ come se subissi una trasformazione. Devo essere in piena solitudine, in silenzio, senza nessuno intorno, in una dimensione ‘incontaminata’.


Oltre allo sguardo, ci vuole il salto; il radioso irragionevole, la turbina selvatica del rabdomante, non la mappa del geologo dei versi, di certo, del filologo, filantropo della letteratura. Il libro di Giorgio Anelli, che è poeta nella sostanza essenziale, è fuori tempo, fuori norma, anomalo, commovente, bislacco, eccessivo, inadatto, necessario. Una stilettata furtiva con coltello dalla lama d’oro. Intendo, il libro di Giorgio Anelli dedicato a Simone Cattaneo. Di culto et orfico (Giuliano Ladolfi Editore, 2019). Un libro, dico, che non tenta l’intelletto ma chiede una adesione incondizionata, scritto in una fratellanza, dieci anni dopo la morte di Cattaneo, che precede la biologia: riguarda il modo in cui Rimbaud stringe la mano a Baudelaire e Verlaine getta nell’empireo il dio biond-azzurro; la compassione con cui Hawthorne, in una duna di sabbia nei sobborghi di Liverpool, davanti al mare grigio, brutale, tocca la spalla di Melville e ne stana l’inquieto; il gelido gergo di Beckett sul muso dei retori: il Nobel bisognava darlo a Joyce. Riconoscenza, riconoscimento, inginocchiatoio. Giorgio Anelli fa di Cattaneo lo zenit della ‘nuova’ poesia italiana, l’esperienza capitale. Il suo pamphlet – scritto come Dino Campana potrebbe scrivere di Walt Whitman – ha la violenza di una chiamata, non è privo di agnizioni sulfuree (sui Cieli di Cattaneo, ad esempio: “È piena di cieli la poesia di Simone Cattaneo. Cieli desiderati, forse. Cieli evocati in nome di che cosa? Cieli privi di speranza, ai quali imporre adunate di pioggia. Tutto, di rimando, è rivolto alla terra. Il poeta guarda quasi sempre dall’alto, senza trovare l’innesto tra terra e cielo. Non accadono misteri, solo sensazioni a volte d’aria calda che suona. Il cielo è la sua ossessione”). Ha una grazia grave e cruda, questo libro, che non è né esegesi né omaggio: agitazione, piuttosto, manuale mistico, regola di vita. A Giorgio Anelli, in altro contesto, scrivo, “essendo presenti, non abbiamo bisogno di presentare né di presenziare”. Direi questo, di Simone Cattaneo – la sua presenza è tale, è così sovrabbondante, da occludere il ricordo, foss’anche il tentativo. (d.b.)


  1. Michela Zannarella, intervista su Radio Vaticana
  2. L'istinto altrove su Lettera43
  3. L'istinto altrove su Pangea
  4. L'istinto altrove su Fattiitaliani

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